Nato da una collisione cosmica tra un karaoke abusivo in una pizzeria di provincia e una scheda audio cinese trovata nei cestoni dell’Auchan, Franco Bollo di Monte Carlo non è un semplice artista. È un concetto. È un’epifania sonora. È la voce di chi ha sempre sognato di pogare in costume da bagno mentre riflette sull’esistenza umana mangiando un toast al formaggio.
Figlio illegittimo di Elio e le Storie Tese, Leone di Lernia, le notti bizzarre di Renzo Arbore e le playlist di papà registrate sul mangianastri con dentro i Litfiba e un po’ di Alan Sorrenti per sbaglio, Franco Bollo cresce imparando che la musica deve far ridere, sudare, pensare e possibilmente anche venire voglia di ballare sul balcone con un deodorante in mano.
Il nome non è casuale. È la sintesi perfetta tra l’autoironia più becera e l’eleganza più inopportuna: Franco Bollo, come qualcosa che si incolla addosso, e Monte Carlo, come qualcosa che non ci si potrà mai permettere. Il risultato è un’identità artistica talmente assurda da sembrare vera, come un premio Nobel a un pupazzo o una laurea honoris causa al Gabibbo.
Cantautore, autore di testi e programmatore di synth con la delicatezza di un camionista moldavo, Franco Bollo scrive canzoni che parlano di maranza in declino, bodybuilder spirituali, jedi metropolitani, integratori con nomi finti e di donnine su Only Fans. La sua musica è un mix letale tra nostalgia da centro commerciale anni 2000, poesia urbana con l’alito di birra e beat elettronici che sfrigolano come una cotoletta nel microonde.
Ha un talento innato per far sembrare profondi anche i versi più cretini. Tipo: “ballo da solo col mio chakra storto, spalmo lo yogurt sul mio io distorto”. Roba che se lo leggeva Pasolini gli prendeva un colpo mistico.
Il suo studio di registrazione? Un salotto con l’umidificatore acceso, una tastiera MIDI comprata su Vinted e una ciabatta multipresa che regge il peso di tutto l’universo creativo. Compone di notte, di giorno, in bagno, in metro, mentre attende la pizza e perfino quando scende la pubblicità su Pornhub.
I suoi live sono eventi mistici. C’è chi li paragona ai concerti di Caparezza in acido, chi a delle veglie scout con l’impianto da discoteca. A volte si presenta sul palco con un panino in mano, altre con un asciugamano sulle spalle in stile wrestler, ma sempre con la consapevolezza di essere l’ultimo poeta demenziale della civiltà occidentale.
Il suo pubblico è trasversale: adolescenti confusi, zii in crisi spirituale, ex truzzi in cerca di redenzione e filosofi della pausa pranzo. Tutti uniti sotto la bandiera di un unico grande ideale: ridere, riflettere e ballare male.
Franco Bollo di Monte Carlo non cerca il successo, lo disturba. Non fa marketing, fa miracoli. Non chiede di essere ascoltato, pretende di essere condiviso come un meme illuminato.
E se un giorno sparirà, sarà perché si è reincarnato in una canzone talmente demenziale che nessuna radio avrà il coraggio di passarla, ma ogni cuore trash la porterà con sé.
Franco Bollo di Monte Carlo è il profeta demenziale che l’umanità non sapeva di volere. Tra un beat elettronico e una fetta di mortadella, canta l’assurdo con la serietà di un guru in ciabatte. I suoi testi fanno ridere, pensare e ballare male. È l’unico artista capace di far riflettere sull’intelligenza artificiale mentre addenti un panino.
Nel 2025 il panino alla mortadella non si prepara: si cura. Si assembla con la stessa meticolosità con cui si allaccia un sandalo Dior o si pettina un barboncino da sfilata. Il pane? Rigorosamente artigianale, cotto su pietra lavica islandese e lievitato ascoltando solo musica ambient. La mortadella? Affettata in silenzio da un salumiere zen con guanti in cashmere, minimo 4 mm di spessore: meno è cheap, di più è volgare.
La foglia di lattuga non si sceglie: si adotta, dopo un provino cromatico. Il tocco finale? Un’acqua di maionese nebulizzata, servita con pinzetta d’argento su ogni boccone. Non è un panino: è un concept alimentare prêt-à-manger. Lo street food? Superato. Ora è runway food. E se non hai un panino alla mortadella nella borsa, amore, non sei nessuno.